L’opera, calco di corpo femminile “irrorato” da una pianta ramificata e rigogliosa che prende le energie dal terreno rappresenta, oltre al legame tra l’individuo e Madre Terra, il potere di creazione e di procreazione connaturato alla donna.
La potenza generatrice e distruttrice della natura è il perno di quest’opera nella quale solidi marmorei si fanno evocativi della morte e della rinascita, ovvero della ciclicità “sempiterna” che contraddistingue il paesaggio sul nostro pianeta di ogni organismo.
L’opera, allusiva alle contraddizioni del mondo e dell’ambiente in cui viviamo, rappresenta una tanica in pietra che può idealmente contenere acqua, bene di prima necessità, oppure petrolio, causa di tanti conflitti e opposizioni.
L’autore ci propone un’aiuola di fiori costituita da bastoncini simili a fiammiferi, oggetti assai modesti che volta per volta possono essere sinonimo di fuoco distruttivo o, al contrario, di passioni unificanti.
Il paesaggio naturale è qui racchiuso in una grande cornice circolare costituita da pezzi di legno assemblati oltre i quali l’osservatore, o il semplice viandante, è chiamato a scrutare, ascoltare e interiorizzare lo spettacolo della natura.
L’opera indulge, per certi versi, al paesaggio, mostrando una bandiera diafana che a dieci metri di altezza garrisce al vento e si fonde con il cielo in un movimento flessuoso e impalpabile.
E’ la trasparenza dei materiali che caratterizza questa scultura, volta a evidenziare l’unione tra acqua e aria attraverso superfici sinuose sulle quali si riflettono le prospettive inaspettate dell’orizzonte naturale.
L’autrice dispone sul terreno grandi coni di rame che fanno risuonare il suono del vento in un dialogo misterioso e privilegiato con l’ambiente, dove la natura diventa intensa armonia sonora.
In questo lavoro l’autore vuole cogliere particolari sonori della natura attraverso una struttura sottile, tutta giocata sull’equilibrio delle forme, in cui una lastra metallica mossa dal vento emette suoni affascinanti, dagli echi remoti.
L’acqua e le cave di marmo di Carrara sono beni da salvaguardare ed è per questo che l’autore ha scelto di realizzare quest’opera marmorea, raffigurante un cuscino nel cui incavo potranno posarsi sia l’acqua sia una testa umana, ove albergano sensibilità e intelligenza.
L’opera rappresenta una stalagmite fatta di volti umani e di altre presenze inquietanti dove memoria e ricordo si rispecchiano in un conflitto continuo, eterno e inesorabile.
Riscoprire l’identità originaria dell’Idroscalo di Milano è uno degli intenti di quest’opera, dove due galleggianti ormeggiati sulla riva invitano a riflettere sull’abbandono desolante o sul ricordo persistente di luoghi a noi familiari.
La grande “X” di cui si compone questo lavoro rimanda all’atavico tentativo, da parte dell’uomo, di scoprire la propria origine e il proprio destino. L’utilizzo del marmo, materiale notoriamente resistente e longevo, è un’allusione al carattere eterno di tali questioni.
L’autrice allude qui al ciclo vitale degli esseri viventi attraverso una forma scultorea, soggetta agli agenti atmosferici, che riflette i suoi pensieri sul passare del tempo, sul mutare continuo delle cose e sulla loro caducità.
Ispirato alle mappe virtuali fornite da Google maps, questo lavoro coglie l’elemento acqua in una condizione di artificiale immobilità e ondosità riportandoci alla dimensione virtuale sempre più diffusa nella nostra società e nel nostro modo di percepire la realtà.
Si tratta di un’opera sensibile ai valori ambientali che riproduce l’acqua su una stampa fotografica delimitata da un contenitore metallico nel quale sembra risuonare, a oltre cinquant’anni di distanza, la celebre installazione di Pino Pascali 32 mq di mare circa.
Scultura quadrangolare di gesso bianco all’interno della quale entrano in gioco sporgenze, cavità, sinuosità e forme in tensione, quest’opera appare come un concentrato di energie che evoca le forze contrastanti e imprevedibili presenti nella natura.
Con l’installazione di un cartello segnaletico raffigurante la presenza di conigli l’autore vuole sperimentare, tra il serio e il faceto, la reazione del viandante davanti alla segnalazione di un improvviso cambiamento di presenze e di confini.